Doveva imparare da capo ad essere felice. Perché quella è
un’arte. Bisogna avere talento e coltivarlo. Non è come andare in bicicletta,
non è una capacità che acquistata si mantiene. Essere felici non è per tutti.
Micol lo sapeva perché lo sperimentava in prima persona. Era depressa da così
tanto tempo che non ricordava più altri sentimenti. Né la gioia, né la
soddisfazione, nulla che non fosse sofferenza. Se ne accorgeva sempre, ma
soprattutto quando gli amici, la famiglia le dicevano che avrebbe dovuto essere
felice. Se ne accorgeva nei pochi attimi in cui la disperazione si nascondeva
in fondo al cuore, quando il corpo prendeva il sopravvento. Le situazioni in
cui la testa si spegneva erano poche, rare, preziose perché anche la voglia le
mancava, di sorridere e di divertirsi. Affogava in alcol e sigarette, affogava
in medicine che non le facevano più alcun effetto, perdeva se stessa
consciamente, volontariamente. Si lasciava andare all’inferno. Al baratro sotto
i piedi.
Quel vuoto nero in cui cadeva era il solo luogo in cui si
sentisse a casa, dove sapeva di non poter essere raggiunta da nessuno. Era
bello. Non doveva spiegazioni, né finzioni, non aveva bisogno di maschere lì
dove la luce non arrivava in nessun modo per nessun motivo, poteva essere solo
se stessa, solo come sapeva essere. Piccola, spaventata, delusa, disillusa,
quel nulla era la sua bolla. Irraggiungibile. Calda. A pensarci bene, non è che
la vita lì dentro fosse semplice, né rilassante. Il mondo fuori era peggio però
e Micol aveva imparato a scegliere con cura il male minore. Non che fosse fiera
di se stessa, ma le sembrava la sola scelta possibile. Il solo modo per
sopravvivere al cuore a pezzi, all’inizio, poi era diventato un vizio, come
tante altre cose che le erano capitate per caso e a cui poi si era abituata al
punto da non riuscire più a staccarsene.
Erano passati anni ormai dall’ultima volta che aveva riso di gusto, ma anche
dall’ultima volta che aveva pianto, era diventata inconsistente, impassibile a
qualunque emozione, il baratro che aveva sotto i piedi pian piano le era
entrato nell’anima, trasformandosi in una pellicola impenetrabile che le
avvolgeva il cuore. Quando rifletteva su tutto il tempo passato in quelle condizioni
si accorgeva di come fosse diventata esattamente ciò che aveva odiato negli
altri, una persona di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza, perché che ci
fosse o meno non faceva differenza, non era divertente, né simpatica. Era
bella, ma non abbastanza da lasciare il segno, solo i suoi occhi erano
abbastanza spenti da essere notati ad un esame attento, che non le veniva
fatto. Era sola, e doveva aver cura solo di se stessa e non trovava più
stimoli. Era depressa.
Successe in un lampo. Senza un motivo particolare, in un
attimo come tanti altri. Ma tutto era cambiato. Dopo quasi cinque anni, aprì
gli occhi e vide ogni colore in ogni sua sfumatura. Tutti i colori escluso il
grigio che l’aveva accompagnata per tutto quel tempo. Fu come tornare bambina,
lo stupore prese il sopravvento. Perfino l’aria aveva un sapore nuovo, come se
i suoi sensi si fossero sviluppati in maniera sovrumana. La bolla si ruppe
senza rumore, ma per lei fu come un’esplosione atomica. Ogni fibra del suo
corpo sembrò svegliarsi, ogni gesto tornò ad acquistare un senso reale. Era il
primo passo, solo il primo, la strada per tornare ad essere felice era lunga.
Lo sapeva, Micol. Doveva imparare da capo ad apprezzare le cose della propria
vita, le persone che erano rimaste, ricominciare da zero ad essere contenta. Doveva
ricominciare ad educare il suo cuore, imparare a non scappare. Sarebbe stato
difficile come per ogni altro vizio a cui voleva rinunciare, ma nella sua nuova
serenità aveva fede che ce l’avrebbe fatta. Doveva farcela. Aveva una vita tra
le mani e doveva proteggerla, finalmente lo capiva. La propria vita. Valeva
quanto le altre, perfino di più.
Per apprezzare ed accettare questa verità era dovuta andare all’inferno
e tornare, aveva fatto il giro del mondo cercando di allontanarsi da sé e dai
problemi, ma il mondo è tondo e ogni passo la avvicinava al proprio cuore, alla
conoscenza della propria anima. Ogni consapevolezza evitata le piombò addosso
come acqua gelata, tutta l’energia di una cascata le riempì le vene in scariche
di adrenalina che non le lasciavano scampo, doveva ridere. Doveva piangere.
Doveva essere, esserci. Improvvisamente capì tutto ciò che si era persa, tutto
ciò cui aveva rinunciato per paura, ma non se ne pentiva, non aveva avuto
scelta. Era quello il momento giusto per tornare, non prima. Era quello il
cammino che il destino le aveva affidato. Non uno diverso. Per trovare la
propria strada aveva dovuto perdere tutto, abbandonare persino il proprio
cuore, lasciarlo a riposo perché le ferite cicatrizzassero. Per ritrovarlo
rinvigorito, sano e forte. Per ritrovarlo disposto a mettersi in gioco. Per
ritrovarlo degno di chiamarsi cuore. Così come la sua anima, protetta nella
bolla, aveva avuto occasione di maturare, imparare cose che nessuno può
insegnare, si era redenta dopo
aver espiato colpe proprie e colpe altrui. Così come i propri occhi, che
avevano ritrovato la luce e superato la paura del sole. Così come il corpo, che
aveva rinunciato per anni al contatto di altri corpi per scoprirne la mancanza
e la necessità.
Tutto il suo mondo si ampliò all’esterno, tutto ciò che
prima la spaventava ora le dava coraggio, le cose che aveva perso ora le
sembravano superflue e quelle che aveva ritrovato avevano un valore maggiore,
perché si erano dimostrate degne di stima rispetto e amore. Nel nero che
l’aveva avvolta per anni, aveva sempre avuto la certezza che il mondo fosse
malvagio, che le persone l’avrebbero abbandonata, in un modo o nell’altro.
Nella nuova luce di speranza che finalmente l’avvolgeva, capiva che solo le
cose realmente importanti sopravvivono, solo le persone realmente importanti
restano, ma soprattutto che bisogna avere fiducia. Fu un lampo, quella
consapevolezza che accese mente e cuore, ma forse sarebbe durata a lungo, forse
perfino più a lungo del male che l’aveva corrosa. La cosa più importante era
ricominciare a credere. E Micol
credeva di nuovo, credeva con forza che alla fine tutto sarebbe andato per il
verso giusto, che ogni cosa avrebbe trovato un modo per realizzarsi solo come
doveva, nell’unico modo in cui poteva andare. Aveva capito che bisognava lottare, ma anche che a volte
doveva lasciar fare al destino.
Non voleva impazzire di nuovo, non voleva piombare di nuovo
del dolore. Aveva sempre pensato e visto che non volerlo non bastava ad
evitarlo, ma la speranza era importante, troppo. Micol l’aveva recuperata.
Nulla avrebbe potuto fermarla, ora. Sempre che quella sensazione di pace fosse
rimasta. Sempre che la felicità fosse per tutti. Sempre che il bene prendesse
il sopravvento su tutto il resto. Sempre che qualcosa la salvasse. Che
continuasse a salvarla. Sempre che trovasse l’amore. Sempre che l’amore non la
distruggesse. Ma sapeva anche che ne sarebbe valsa la pena.
Andò in bagno, tolse il pigiama, aprì l’acqua e fece una
doccia, lenta e calda, rilassante. Ne uscì e si vestì con cura, come non faceva
da tanto tempo. Mise una gonna nera, una canotta dello stesso colore, scarpe
alte nere, si truccò come sempre, matita ombretto e rimmel neri, rossetto,
aggiustò con cura i capelli, si erano allungati di molto, ormai le toccavano la
schiena senza difficoltà, prese la borsa ed uscì di casa. Sembrava la stessa, i
vestiti non erano cambiati, nemmeno il trucco, era la sua anima, erano i suoi
occhi ad essere nuovi. Puri e limpidi. Luminosi. E scoperti, senza gli occhiali
che di solito li coprivano, così scuri per proteggerla dal mondo. Non ne aveva
più bisogno. Il suo sorriso avrebbe potuto illuminare anche una notte senza
luna e senza stelle, era caldo come il centro più profondo della terra. Era
coraggiosa, di nuovo. Era bella, come mai negli ultimi anni. Non era più
trasparente. Non era più spaventata. Non era più impermeabile. Era viva.
Respirava e il suo cuore batteva. Non come se fossero automatismi fisiologici,
ma come se avessero scelto di farlo consapevolmente, come se nient’altro
potesse avere senso se non attivarsi al centodieci percento, dare il massimo
nel proprio lavoro, stimolare i sensi ad espandersi sempre più. Come se
finalmente si fossero messi d’accordo testa e anima. Trovando il percorso comune.
La via giusta. L’energia giusta.
Era stato un lungo viaggio. Di certo non era finito, anzi.
Ma questo era un nuovo inizio. Con
nuove prospettive, nuove speranze, nuovi viaggi. Sarebbe diventata una lunga
avventura. Piena di emozioni, di brividi, di vittorie e anche di sconfitte. La
cosa importante era che Micol tenesse duro. Che non si lasciasse abbattere.
Nessuno poteva sapere se ce l’avrebbe fatta. Nessuno forse avrebbe puntato su
di lei, era una persona troppo instabile. Eppure, stranamente, sembrava che
fosse il destino stesso a fare il tifo per lei. Nonostante tutto, sentiva di
essere guidata. Doveva solo fidarsi. Doveva solo resistere. Doveva solo, di
nuovo, imparare ad essere felice.